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gli abiti

CALZA-BRACHE



Dopo i Goti, dominarono in Italia i Longobardi: una popolazione germanica. Come le altre popolazioni nomadi cosiddette barbariche che avevano invaso quello che era stato l’Impero Romano, erano entrati in Italia dalle Alpi Giulie, attraverso la cosiddetta "porta del Friuli", muovendosi con donne, vecchi, bambini e servi, razziando e distruggendo ovunque passavano. Entrati a contatto con il mondo bizantino e la politica dell'area mediterranea, nel 568, guidati da Alboino, si insediarono in Italia, dove diedero vita a un regno indipendente che estese progressivamente il proprio dominio sulla massima parte del territorio italiano continentale e peninsulare.
Vista l'integrazione progressiva con la società italiana, grazie all'emanazione di leggi scritte in latino (Editto di Rotari, 643), alla conversione al cattolicesimo (fine VII secolo) e allo sviluppo, anche artistico, di rapporti sempre più stretti con le altre componenti socio-politiche della Penisola (bizantine e romane), i Longobardi ebbero forti influenze anche nel campo dell'abbigliamento. Infatti con questo dominio e sviluppo anche la moda risentì dei nuovi influssi; come veste rimase di uso comune la tunica, ampiamente usata nel periodo precedente, l'uomo longobardo portava al di sotto le BRACHE o "braghésse" (da cui "braghe" conosciute oggi come "pantaloni").
Le brache consistevano in protezioni per le parti intime infatti erano veri e propri indumenti intimi. Da una lunghezza iniziale che raggiungeva la caviglia, col passare del tempo queste brache vennero volutamente accorciate dall'uomo, per comodità e praticità. L'indumento intimo veniva associato a delle calze generalmente di lana in quanto servivano per proteggere il piede. Le calze venivano sovrapposte alle brache e, visto il progressivo accorciarsi delle braghe, queste si allungarono proporzionalmente. Il termine CALZA-BRACHE deriva dall'uso comune di entrambe le vesti. Le calze potevano essere fermate da lacci attorno ai polpacci, creando intrecci diversi, questi lacci erano solitamente di stoffa o pelle. Le brache si fermavano in vita con un corda a cui venivano arrotolate attorno.
Le brache (mutande) erano conosciute anche con il nome di "pudende" dal latino "pudere", con l'accorciarsi, queste presero il nome di "femoralia" alla fine del XIV secolo quando la loro lunghezza arrivava al femore.
Col passare del tempo le calze cambiarono forma (dalla larga del 100-200 a quella stretta del 300 e fasciante del 400), confezione (tessuti diversi) e decori, dalla semplice del 100-200 a quelle bicolore o decorata fiorentina del 300 con tessuto diverso da una gamba all'altra allacciate direttamente al farsetto a quelle semi-unite della seconda metà del 400 e a tinta unita fino ad arrivare a quelle unite del 500. Le calze sono conosciute anche come "tubi" in quanto nel Medioevo mantengono la forma di due tubi distaccati che avvolgono la gamba sovrapponendosi alle brache. Nella Francia del Trecento si diffusero anche le calze solate dalla punta aguzza, a volte imbottita per sostenerla; in Italia la punta di moda aveva la forma arrotondata.
La braghetta de braca della fine del 400 serviva per coprire le femoralia a livello inguinale e si allacciava con cordoncini e fiocchi o bottoni direttamente alle brache ovvero alle femoralia. Le calze erano sorrette da lacci che venivano inseriti nella cintura che fermava le brache o ad una cintura superiore o potevano essere semplicemente incrociati sul bacino in modo da fermarli ai fianchi.

Fonti: pagina FB Vestioevo





























TOCCO - SOGGOLO
2 copricapi per 2 secoli


Nella prima metà del XIII si diffusero due copricapi di origine francese: il TOCCO maschile e il SOGGÓLO femminile.

Il tocco, dal francese "toque", è un termine di abbigliamento che indica una tipologia di berretto.
Come copricapo più diffuso dal XI secolo permase per molti secoli la "infulae" inizialmente usata come cuffia di lino per la notte, nella prima metà del XIII secolo nacque e si diffuse il "tocco".
Materiali per la realizzazione erano lana, lino e cotone e veniva utilizzato durante il corso di tutte le stagioni. Gli uomini erano soliti ad indossarlo abbinato all'infulae, solo nei secoli avvenire, questo doppio utilizzo passò di moda. Indossato da persone di alto rango, rimase in uso fino alla fine del Trecento, quando divenne un'esclusiva per medici, magistrati e dogi, soprattutto nel Quattrocento, ancora oggi viene utilizzato nelle Università.

Il soggólo, o "glimpa" e "guimpa" dal francese "guimpe", indica una striscia di tela o di velo che circonda la faccia e, fasciando il collo, si ricongiunge alla sommità del capo; veniva confezionato in tela di lino o seta. Era composto da una fascia sotto al mento (soggòlo ovvero sotto gola) e da una striscia rigida che fermava la fascia, sopra ad essa vi si poteva appoggiare un velo che scendeva lungo il capo conosciuto anche come "manto da testa".
Già in uso nel secolo XIII, nel secolo XIV veniva portato dalle nobildonne sopra il vestito come sorta di bavero, inizialmente era infatti consuetudine delle donne sposate non mostrare i propri capelli, successivamente indossato solo da vedove e da suore.
Ancora oggi viene utilizzato in molti ordini di suore.











GLI OCCHIALI

Non si può dare con certezza la data esatta dell’invenzione degli occhiali, ma possiamo collocarla con certezza in Italia e con buona approssimazione tra il 1280 e il 1300.
Il primo a descrivere l’uso di una lente per migliorare la vista fu il filosofo inglese Ruggero Bacone nel 1262. Egli fece alcuni esperimenti con le lenti e gli specchi e descrisse i principi del riflesso e della rifrazione. Iniziò così a scrivere gli effetti dei suoi esperimenti. Era ben visto e protetto dal Papa Clemente IV, ma quando il Papa morì egli dovette continuare i suoi studi in segreto. Venne scoperto, accusato di eresia e imprigionato. Quando uscì di prigione continuò con i suoi esperimenti, nel suo Opus Majus descrisse l'azione di ingrandimento della lente convessa e ne suggerì l'uso a chi avesse problemi di vista: " ...con questo strumento tutti coloro che hanno occhi malati possono vedere ingrandita anche la lettera più piccola.", ma fu verso il 1280 che la lente cominciò ad essere utilizzata più vicino all'occhio anziché all'oggetto.
I primi prototipi di occhiali da vista erano dotati di lenti convesse che avevano la capacità di correggere i difetti di ipermetropia e di presbiopia, due disturbi della vista che solitamente si sviluppano in età già adulta.
Nel 1284 gli abili artigiani veneziani erano riuniti nelle Congregazioni di Arti e mestieri: ogni arte possedeva il proprio statuto e quello dell'Arte dei cristalleri (artigiani del Quarzo o cristallo di rocca); a questi artigiani era fatto obbligo di giurare sul Vangelo il rispetto dello statuto, che prevedeva la proibizione di vendere il "vetro" dichiarandolo "cristallo".
Nei Capitolari delle Arti Veneziane del 1284 si distinguono gli occhiali (roidi da ogli) dalle lenti d'ingrandimento (lapides ad legendum).
Nei primi tempi era proibito svelare il segreto della fabbricazione degli occhiali, per la cui violazione era prevista la pena di morte. Tale proibizione frenava la commercializzazione e la diffusione delle lenti avvenne ufficialmente solo quando le Arti permisero agli artigiani di esercitarne la libera vendita. Con l’arrivo del XIII vi fu una vera e propria pratica applicazione del vetro come lente correttiva della vista perduta.
Gli occhiali inizialmente servirono solo a correggere la presbiopia mentre, il problema della miopia, si risolse dopo la prima metà del XV secolo. Gli occhiali si diffusero pur essendo un oggetto costoso e furono adottati perfino i francescani, che pur avevano ricevuto l’ordine dal loro fondatore di non dedicarsi alla scienza. In seguito anche Evangelisti, Padri della Chiesa, scrivani, mercanti insomma tutti gli uomini dotti o che dovevano far di conto, furono raffigurati con questo importante accessorio.
Gli occhiali erano tenuti e protetti in una custodia, generalmente in legno e pelle, appesa alla cintura.
Questi oggetti erano usati anche nelle corti signorili, ad esempio nel 1462 Francesco Sforza, duca di Milano, il quale ne ordinò a Firenze tre dozzine.

Fonti: Pagina FB Vestioevo.











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